Il teatro di animazione nel meridione d'Italia

Pubblico e spettacoli

Spettacoli di pupi napoletani non se ne fanno più; sopravvivono una tantum alcune rare rappresentazioni “esemplificative” per distratti pubblici scolastici e di turisti di passaggio. La rappresentazione con pupi ha da tempo perso la relazione con il contesto sociale e culturale che ad esso la rendeva consona e intellegibile. Lo spettatore dei quartieri spagnoli, del paese della Capitanata che ogni anno attendeva l’arrivo del teatrino e il suo acquartierarsi in zona per i mesi necessari a snocciolare i corposi cicli in decine e centinaia di episodi diveniva nel tempo un cultore dell’opera dei pupi, un patito delle vicende rinaldiane, di Tore ‘e Crescenzo, di Musolino, esigendo di riviverle periodicamente.

Molti degli ultimi pupari da noi intervistati, dei loro familiari, di anziani spettatori sono concordi nel sottolineare il rapimento, l’emozione data, all’aprirsi del sipario, dalla subitanea comparsa di mondi immaginifici e spesso esotici popolati da eroi leggendari, da creature fantastiche tutti annoverati da una comune sgargiante, abbacinante policromia garantita da vesti damascate e di velluto, da applicazioni, ricami e bordature, da mantelli e pennacchi, da lustre armature, da fondali e quinte altrettanto colorate. Foto d’epoca ci testimoniano teatrini traboccanti di pubblico fin sotto la ribalta, di altro pubblico che si accalca folto all’ingresso del baraccone in attesa di dilagare rapido in platea per assicurarsi i posti migliori. Ci siamo immaginati tale congerie di braccianti, venditori ambulanti, piccoli commercianti attendere impaziente e rumoreggiante l’inizio dell’episodio, abbiamo provato a immaginarci il loro sguardo rapito, estasiato allo svelarsi della prima scena. Tale fatidico attimo abbiamo quindi tentato di ricreare ricorrendo alla computer grafica, utilizzando sì una tecnologia sideralmente lontana da quei malmostosi baracconi ma l’unica capace di replicare se pur virtualmente l’incanto dell’opera, il favoloso incipit della rappresentazione in cui lo spettatore del tutto volentieri, del tutto consenziente si faceva rapire da quanto si parava dinnanzi ai suoi sbigottiti occhi, acconsentendo a farsi imbibire e impregnare dalla trama e dagli accadimenti da essa orchestrati. L’orchestrazione di un agguato, il duello all’arma bianca tra due contendenti erano attimi “elettrici” e di grande tensione e suspence, ma soprattutto le cariche e sospese atmosfere di due fronti che si preparano allo scontro, di paladini e “infedeli” che nei loro accampamenti, nei loro manieri attendono l’ordine di schierarsi, codesto momento topico si è cercato di riprodurre.

Le nostre ricerche sul teatro dei pupi di origine campana e pugliese, se hanno consentito di raccogliere preziose testimonianze dalla viva voce degli ultimi rappresentanti delle compagnie che in queste due ragioni massimamente lavorarono, se hanno permesso di documentare significativi patrimoni di fantocci, costumi, corazze, attrezzeria, fondali, quinte, copioni e canovacci, non hanno però potuto beneficiare della possibilità di assistere a spettacoli teatrali sui quali il sipario era oramai calato definitivamente intorno agli Ottanta e Novanta del Novecento. Rimanevano certuni vividi racconti di anziani appassionati dell’opera concordi nell’ammettere il loro estatico ed entusiastico rapimento al cospetto di scene ove il ponte di animazione sovrastante il boccascena consentendo di collocare i pupi in prima e seconda fila, con l’ausilio di quinte e sfondi, acuiva la “tridimensionalità” della scena, la sua profondità prospettica. La complessità delle trame, il proverbiale loro dipanarsi attraverso situazioni contemporanee ma differenti e distanti, l’intrigo che tali situazioni esaltavano generando narrazioni prima parallele e poi convergenti, il travaso delle azioni da un piano all’altro necessitavano dunque di un impianto scenico capace di allocare e distribuire su livelli e in tempi distinti lo spettacolo.

In tal modo lo spettatore veniva risucchiato da codesto turbinio di articolate, intricate e intriganti vicende reso ancor più efficace da atmosfere esotiche, da mondi lontani evocati da sapienti e “convincenti” scenografie come, ad esempio, nei deserti, nelle oasi, negli accampamenti ove i paladini cercavano sia lo scontro che il dialogo con gli “infedeli”, con principi e milizie della mezza luna.

A un video in grafica 3D si è dunque affidato il compito di provare in qualche modo a rievocare siffatte atmosfere e siffatti ambienti da cui il pubblico attendeva, anzi, esigeva di essere affascinato, avvinto, ghermito, sedotto. Nel dettaglio abbiamo immaginato e realizzato una piano-sequenza che poco alla volta ci introduce in un campo di combattenti turchi permettendoci di volteggiare sulla postazione militare entrando finanche negli attendamenti. Si è quindi tentato di riprodurre lo sguardo estasiato dello spettatore all’alzarsi del sipario, desideroso di una relazione mimetica con la materia inscenata, autentico godimento per i suoi occhi.



Pupi in 3d