Mostra Antropologica Russa - Mosca 1879
Nella seconda metà dell’Ottocento assistiamo al tentativo a lungo cullato, poi progettato, quindi messo concretamente in essere di offrire alla disciplina, alla sua dimensione più “materica”, oggettuale, una ribalta sì scientifica ma soprattutto divulgativa, affidando ad essa il compito di raccontare la Russia ai russi in una cornice del tutto spettacolare e celebrativa quantunque, nelle intenzioni degli allestitori, scientificamente validata. L’antropologia e con essa l’etnografia a cui si deve il compito prioritario di raccogliere, catalogare, selezionare e riproporre i manufatti a più forte vocazione “espositiva”, grazie agli esiti di viaggi, esplorazioni e ricerche che intersecano pure i campi del folklore, dell’archeologia, della paletnologia, si aprono al grande pubblico attraverso due grandi momenti espositivi ai quali qui di seguito riserveremo specifici spazi, la Mostra Etnografica Panrussa del 1867 e la Mostra Antropologica del 1879. L’antropologia si assume in queste due mostre il compito prioritario di dare un volto alle molteplici etnie russe, di dare loro letteralmente e materialmente un volto mediante l’esibizione di calchi facciali in gesso dipinti, attraverso l’allestimento di diorami a grandezza naturale nei quali vengono collocati manichini di notevole realismo, variamente atteggiati in relazione all’azione mimata, lavorativa, venatoria, congruentemente vestiti con gli abiti della loro tradizione, con facce le cui peculiarità somatiche sono “garantite”, a monte, dalle rilevazioni antropometriche effettuate sul terreno.
Il 3 aprile 1879, dopo anni di preparativi, fu inaugurata la prima Mostra Antropologica Russa nello stesso edificio, situato in piazza del Maneggio a Mosca, dove aveva avuto luogo l’esposizione etnografica panrussa. Innanzi tutto il fondamentale compito dell’evento fu quello di promuovere lo sviluppo dell’antropologia attraverso ricerche organizzate appositamente per questa esposizione e finanziate da uno specifico comitato. Per ogni esplorazione fu nominato un responsabile che aveva il compito di reperire il maggior numero di oggetti con le dovute descrizioni. Complessivamente oltre cinquanta studiosi ebbero sussidi per i viaggi e gli scavi. Le relazioni di tutte queste spedizioni furono presentate in trentadue sedute scientifiche e pubblicate in due volumi dal titolo “Mostra Antropologica”.
Attraverso un’esposizione scenografica con ambienti, rocce, animali e piante del passato, il pubblico, varcando l’ingresso, si immergeva nel mondo preistorico. Resti degli animali fossili ritrovati nelle grotte e nelle tombe funerarie furono messi a confronto con le ossa dei loro attuali discendenti. Il taglio geologico e paleontologico che si affiancava, arricchendolo, a quello preistorico era integrato da cartine geografiche, topografiche, stratigrafiche e disegni che ricostruivano fauna e flora scomparsa. Furono anche riprodotti a grandezza naturale il megaterio, il plesiosauro, il mammut ed altri animali preistorici, accompagnati da piante fossili anch’esse sapientemente ricostruite. Palese fu l’intento dell’intera mostra di aderire a un taglio complessivamente evolutivo che ricostruisse e rispettasse le tappe del percorso umano in una prospettiva sì fisica, ma pure culturale.
Per quanto riguarda invece l’antropologia contemporanea furono realizzati i manichini di soggetti appartenenti a diverse popolazioni in abiti tradizionali e ambientati in seno a scene di vita quotidiana. Furono proposti anche calchi facciali e di interi busti, maschere rituali, ritratti fotografici e collezioni di utensili domestici.
Questo evento fu una preziosa opportunità per meglio cogliere gli obiettivi della ricerca dell’epoca, che, appunto in tale occasione espositiva si fecero particolarmente evidenti, cominciando da una generalizzata aderenza al metodo comparativo quale supremo strumento di discrimine di un’alterità fisica e culturale ma pure geografica, storica e preistorica. Il succedersi delle sezioni ubbidì in tal senso a un criterio innanzitutto temporale ritenuto indispensabile per capire il “come si è” in relazione al “come fummo”. Nel febbrile lavoro per la realizzazione di codesta esposizione venne ribadita la fiducia nel reperto, osteologico ed etnografico, quale ancora di salvezza che con la sua fisicità incontrovertibile, tangibile, osservabile, si costituiva come punto di partenza per qualunque successiva speculazione che ancora nell’accumulo dei dati avrebbe confidato per convalidare i suoi assiomi.